Casa Verdi

Casa Verdi

A Milano sanno tutti dov’è Casa Verdi, in piazza Michelangelo Buonarroti 29. Chi non lo sa, è uno che viene da fuori, e se lo chiede a un passante, riceve pronta risposta. Vicenda interessante, quella della sua costruzione. Testimonianza di quelle azioni che si compiono, o almeno che le persone di talento e generosità compiono, ancor prima di avere uno scopo prefissato ma già determinati sul senso di questo scopo. “Ho acquistato, è vero”, scrive Verdi a Giulio Ricordi nell’ottobre 1889, “tremila metri di terreno non fuori di Porta Vittoria, ma di Porta Garibaldi. Come altre volte, potendo disporre di qualche somma ho acquistato titoli di rendita, così ora offertami l’occasione ho comperato questo terreno, ma senza idea fissa di quello che ne farò o ne potrò fare. È denaro impiegato, bene o male non so, ma senza progetto”. Quale importante destinazione potesse avere questo acquisto cominciava a profilarsi negli anni successivi. Verdi era restio a concedere piccoli sussidi, prestiti, aiuti a breve termine. Andava invece maturando il desiderio di aiutare quelli che chiamava compagni meno fortunati. Voleva però programmare questo aiuto, non soltanto alla grande, ma anche con precisione assoluta, per cui voleva essere informato su che cosa potesse contare delle sue rendite fino all’ultimo centesimo. Nel 1895 Verdi e la moglie Giuseppina Strepponi arrivarono  a Milano a incontrarsi con Camillo Boito, architetto a cui sarebbe stato affidato il progetto della Casa, l’appalto dei lavori dato ai fratelli Noseda, imprenditori edili, è del 16 aprile di quell’anno. Sul contratto si legge per l’ultima volta “Ricovero per Musicisti”. Ma subito dopo si cominciò a seguire la precisa indicazione di Verdi, che non vorrà mai parlare di ricovero, ma di riposo, non di ricoverati ma di ospiti: “I miei ospiti”, diceva. Appunto, gli ospiti di Casa Verdi. La Casa, all’inizio, nasce per cento ospiti, in proporzione equilibrata fra uomini e donne. Non ci sono camerate, ma stanze, e all’inizio è previsto che siano non singole, ma per due persone: in modo che possa esserci assistenza vicendevole. Una condizione che mutò negli anni, sia nella struttura della casa, che fu ampliata, sia nel proporzionare le nuove possibilità di vivere una privacy decorosa alle esigenze di assistenza e aiuto. Cucine, bagni, furono via via adeguati alle possibilità del progresso. Insomma, Casa Verdi è uno dei rari luoghi dove, leggendo i documenti e osservando l’edificio e conoscendo le persone, si ha l’impressione di qualcosa di onesto e coerente, di un’idea ben fondata che procede con naturalezza, senza illusioni, ma senza debolezze. Qualcosa di severo e di sontuoso, di non perfetto, ma di ordinato e simbolico, che è un po’ il segno del teatro d’opera, e viene voglia, entrando, di saper cantarla per poter pregare così, come faceva lui, laico e dubbioso ma costretto ad ammettere la necessità  di pregare proprio mentre faceva cantare. Ognuno può portare con sé, arrivando alla Casa di Riposo, la propria roba, arredando la propria stanza o riempiendola di ciò che più gli è caro. La prima impressione che colpisce. entrando a Casa Verdi, non è l’ordinamento della vita. È il suono. Arriva da lontano e da vicino musica: suoni di pianoforte, di violino, a volte d’organo; c’è spesso qualche voce giovane che ripassa o studia qualche aria d’opera. E può persino capitare di udirne di non più giovani che si ripassano qualche romanza. Camminando si incontrano gli strumenti: i pianoforti a coda o a mezza coda, il grande organo nel salone dei concerti. Vi sono infatti gli strumenti che permettono ai musicisti di continuare il loro rapporto attivo con la musica Verdi è morto lì, con accanto la sua sposa. E lì è sepolto. Lì, dove davanti alla Casa, al centro della Piazza, c’è un monumento a lui dedicato.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Traduci