In via Stilicone 36 sorge un esempio di architettura rinascimentale. È Villa Simonetta, oggi sede della Civica Scuola di Musica di Milano. Nel 1547 la dimora fu acquistata da Ferrante Gonzaga che la fece ricostruire da Domenico Giunti. In seguito divenne proprietà dalla famiglia Simonetta, ma ci abitò soltanto la figlia Clelia. Rimasta vedova, la donna faceva chiacchierare molto la buona società, poiché ritenuta poco rispettabile. I genitori quindi decisero di mandarla nella villa allora in piena campagna. Rimasta sola però Clelia iniziò ad organizzare feste lussuriose. Passò così diversi anni, fino a quando fu accusata di aver fatto sparire undici contadini. Le voci che circolavano l’accusavano di organizzare giochi erotici talmente spinti da portare alla morte dei partecipanti. La verità non venne mai fuori, ma taluni sono convinti che il fantasma della donna abiti ancora la villa. Per due secoli l’abitazione cambiò proprietari. Nel 1817 Milano era entrata a far parte dell’impero d’Austria. E attorno a Villa Simonetta tornarono a circolare strane voci: si diceva fosse abitata da un nobile che amavano organizzare feste sfarzose. Tra balli e divertimenti, il passatempo favorito della compagnia del giovane era quello di organizzare scherzi. I membri del gruppo cominciarono quindi a ricevere dei soprannomi, come quello di balabiòtt, in milanese coloro che ballano nudi, forse in ricordo anche della vicenda che aveva visto protagonista Clelia Simonetta. Ma il soprannome col quale passarono alla storia fu quello fu quello della teppa, in milanese muschio. Un nome affibbiato probabilmente perché erano soliti ritrovarsi in piazza Castello. dove l’umidità milanese ne creava molto. Un’altra ipotesi è che il nome derivasse dall’aspetto dei loro cappelli che avevano le sembianze del muschio. Un nome arrivato ai giorni odierni con la parola teppista.