C’era una volta, nei Giardini pubblici Indro Montanelli a Porta Venezia, una grande quercia rossa detta di Montale, Eugenio Montale, perché la storia vuole che lo scrittore e poeta, quand’era giornalista al Corriere della Sera, si recasse a meditare, a leggere, a scrivere o semplicemente a rilassarsi, sotto la grande Quercus rubra, importata dal Nord America verso la fine del Settecento. Ma anche perché una sua poesia nella raccolta “La bufera e altro” è dedicata proprio a una quercia: “Hai dato il mio nome ad un albero? Non è poco, pure non mi rassegno a restare ombra, o tronco…”. È una delle piante più antiche del Parco e delle più grandi di Milano, la sua età è stimata intorno ai 200 anni. Fino a pochi anni fa la sua chioma era intatta, folta e rotonda e di una ampiezza armoniosa. L’albero monumentale era alto dieci metri e aveva una circonferenza di 481 centimetri. Oggi ne rimane il tronco, protetto da una staccionata, mantenuto intatto, perché il legno del quale è composto è una fonte essenziale di biodiversità.